Ah, l’Abruzzo, quel luogo incantato che ha deciso di fare la parte dell’Ohio italiano, nel drammatico teatro dell’eterna lotta politica. Ma chi l’avrebbe mai detto? L’Abruzzo, la terra del buon vino e dei parchi nazionali, si trasforma nel campo di battaglia per eccellenza delle nostre amate contese elettorali. Eppure, nella saga delle regioni italiane trasformate in arena politica, l’Abruzzo è solo l’antipasto. La portata principale, signore e signori, si consuma più a sud, nella terra di Basilicata. Qui, il centrosinistra ha affrontato una Via Crucis così impervia che nemmeno l’ex ministro della sanità, Roberto Speranza, ha avuto il coraggio di calarsi nell’arena.
Immaginate la scena: il centrosinistra alla disperata ricerca di un campione per la Basilicata, come se fosse un casting per un reality show in cui nessuno vuole partecipare. “Chi vuole essere il prossimo presidente della Basilicata?” chiede il centrosinistra, guardandosi intorno in una stanza desolatamente vuota. E quando finalmente un nome emerge dal cappello magico, ecco che il prestigiatore di turno, Roberto Speranza, fa il suo numero più spettacolare: la sparizione. “Non è il momento giusto”, sussurra al vento, lasciando il centrosinistra con il cilindro in mano e una faccia da funerale.
A questo punto, entra in scena Rosy Bindi, quella combattiva ex ministra ed ex presidente del Pd, armata fino ai denti di buoni vecchi rimproveri da maestra elementare. Con la severità di chi ha passato una vita nelle aule scolastiche, Bindi sgrida Speranza per aver declinato l’invito, sostenendo che avrebbe potuto “mettere a posto” la sanità lucana e, perché no, anche vincere le elezioni. Speranza, dal canto suo, si rifugia dietro un post su Facebook che sa tanto di lettera di scuse scritta con il vocabolario della vittimizzazione: stress, no vax cattivi, minacce, odio. Insomma, il kit completo per il politico assediato nel XXI secolo.
Ma andiamo oltre le scuse e le invettive, perché qui c’è di mezzo la gestione della pandemia, quel torbido periodo della nostra recente storia che sembra diventato il terreno di gioco preferito per ogni sorta di dibattito politico. Speranza, che durante la pandemia si è eretto a paladino della salute pubblica con la tenacia di un crociato, ora si trova a dover difendere la sua eredità contro chi lo accusa di aver gestito il tutto con la leggerezza di un elefante in una cristalleria.
E cosa dire delle elezioni in Basilicata, trasformate, nella mente di qualcuno, in un referendum sulla gestione della pandemia? Ah, la dolce ironia di pensare che una regione possa diventare il barometro dell’approvazione popolare per politiche sanitarie che hanno diviso il paese più di un derby Inter-Milan. Ma Speranza, ahimè, ha scelto di non partecipare a questo esperimento sociopolitico, lasciando che il suo posto nella storia sia giudicato dai posteri (e dai commentatori televisivi con un debole per l’ironia) e, perché no, magari da un tribunale.
In un ultimo colpo di scena degno di una telenovela, la questione si complica ulteriormente quando si considera il post di Speranza come un tentativo di spiegare le sue scelte. Un tentativo che, per molti, si è risolto in un bel nulla, lasciando più domande che risposte. Se solo Talleyrand avesse avuto l’opportunità di consigliare il nostro eroe, gli avrebbe probabilmente suggerito di moderare il suo zelo, specialmente quando questo rischia di rendere ancora più opache le acque già torbide della politica italiana.
E così, cari lettori, si conclude la nostra discesa nella commedia dell’assurdo che è la politica italiana, dove le regioni diventano simboli, i politici degli eroi tragici (o comici, a seconda dei punti di vista), e il popolo assiste, tra il divertito e l’incredulo, a questo incessante teatro dell’assurdo. Ah, l’Italia, quel paese dove la politica è sempre uno spettacolo, magari non sempre di buon gusto, ma sicuramente mai noioso.
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