Non solo nuovi droni aerei, marini e terrestri, ma anche i sistemi per abbatterli. Non solo civili trasformati in agenti segreti, ma un’intelligenza artificiale in grado di incrociare ogni dato utile e suggerire ai militari come essere letali. Questa guerra è un micidiale laboratorio.
Satelliti. Aerei spia. Droni di ogni sorta. E poi osservatori umani: pattugliatori e ricognitori in avanscoperta, oppure spie paracadutate oltre le linee, e perfino civili, purché dotati delle adeguate mini-apparecchiature. Tutti insieme, questi occhi – artificiali e no – osservano il nemico da differenti punti di vista. Raccolgono ogni possibile informazione sulle unità avversarie, attive in un determinato quadrante, e continuano a spedirle online a un computer piazzato su un grosso camion blindato. In tempo reale, il sofisticatissimo software di quel computer raccoglie ed elabora i dati che via via gli vengono messi a disposizione: i numeri dei mezzi schierati e delle truppe, e il loro dislocamento sul campo; la velocità di avanzamento e la direzione; il tipo di armi a disposizione e l’effettiva potenza di fuoco. Poi analizza il campo di battaglia, definendo mappe precise nei minimi dettagli.
A quel punto, in pochi secondi, il software propone agli ufficiali in comando le migliori strategie d’attacco o di contrattacco, individuando tutti i punti di forza e di debolezza del nemico da colpire. Il sistema si chiama Delta, ed è stato elaborato dalla Nato. È un software sperimentale, ma in Ucraina ha dimostrato di essere più che efficace, letale. Secondo il New York Times, l’esercito di Kiev l’ha testato per la prima volta nelle settimane successive all’invasione di febbraio, quando un lungo convoglio russo puntava dritto da Nord sulla capitale. L’avanzata è stata radiografata dall’alto dai droni, mentre gli abitanti ucraini dei quartieri vicini al passaggio del convoglio inviavano al loro esercito rapporti aggiornati al minuto, con dettagli che potevano essere rilevati soltanto da vicino. Poi Delta ha cominciato a dare ordini, e il convoglio è stato bloccato e distrutto. L’utilizzo del nuovo software è poi divenuto quotidiano da settembre e ha colpito duro a metà novembre, nella clamorosa riconquista di Kherson, la città vicina all’estuario del fiume Dniepr che è divenuta uno dei simboli della resistenza ucraina.
A inizio dicembre, il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov ha rivelato che da circa tre mesi «Delta ha aiutato a identificare in media 1.500 obiettivi russi da colpire al giorno, centinaia dei quali sono stati eliminati entro 48 ore». Come accade in ogni guerra, anche il conflitto tra Mosca e Kiev è un laboratorio di nuove tecnologie. E Delta non è la sola innovazione. Dal 24 febbraio, per esempio, è più che evidente che i droni aerei stanno soppiantando i top-gun dell’aviazione militare. In questo conflitto, elicotteri e velivoli telecomandati di tutte le dimensioni si sono dimostrati armi perfette non sol per il controllo del terreno, ma anche per colpire il nemico con un’efficacia mai vista. Il 5 dicembre, gli ucraini hanno colpito due basi aeree russe alle porte di Mosca. Dall’inizio della guerra hanno fatto affidamento sui i droni turchi Bayraktar TB2, che hanno un’apertura alare di circa 12 metri, un’autonomia di volo superiore alle 25 ore, una velocità di crociera sui 130 chilometri orari, e trasportano un micidiale carico di bombe e missili teleguidati.
I Bayraktar hanno fatto un massacro di carri armati e blindati russi, e sono stati la principale arma a lungo raggio di Kiev fino a quando gli Stati Uniti hanno iniziato a fornirle i lancia-razzi mobili Himars, che sparano vettori teleguidati. I russi hanno risposto con i Mohajer-6 iraniani, droni aerei simili al Bayraktar, ma più piccoli: hanno un’apertura alare sui 10 metri, un raggio d’azione di oltre mille chilometri, e possono sganciare bombe a guida laser o lanciare missili anti-carro. Sono almeno dieci anni, del resto, che in tutto il mondo la tecnologia militare sperimenta ed elabora droni aerei: possono essere molto piccoli, leggeri e facilmente trasportabili, riescono a decollare e ad atterrare in spazi ridotti, e soprattutto non espongono al pericolo esseri umani. In Ucraina, però, sono comparsi per la prima volta anche altri tipi di droni.
Quelli terrestri (in sigla Ugv: Unmanned ground vehicle) che sono mini-tank con funzioni di supporto logistico, forza di fuoco e trasporto feriti. Ma soprattutto quelli marini (gli Usv: Unmanned surface vessel), impiegati più volte contro la flotta russa nel Mar d’Azov. Lunghi meno di due metri, neri come la notte e in grado di raggiungere i 100 chilometri orari, quasi una velocità da off-shore, questi Mas aggiornati e corretti hanno un’autonomia di 800 chilometri e possono portare fino a 200 chilogrammi di esplosivo contro uno scafo nemico. In Rete, alcuni video certificano un attacco effettivamente portato a termine contro quello che sembra un dragamine russo.
La telecamera, piazzata vicino alla prua, mostra l’Usv kamikaze che «plana» sulle onde, schiva zigzagando le raffiche sparate da un elicottero, poi punta dritto contro l’obiettivo e gli si schianta contro. Alla fine di ottobre, una flottiglia di questi droni-motoscafo ha affondato quattro navi russe alla fonda nel golfo di Sebastopoli, tra le quali la Makarov, ammiraglia del Mar Nero. La marina di Mosca ne ha trovato uno, misteriosamente inesploso, che si era incagliato sugli scogli. Verso la fine di novembre, altri Usv si sono spinti dentro al porto di Novorossiysk, sulla costa russa del Mar Nero, molto oltre lo stretto di Crimea, colpendo un terminale petrolifero. Ma se una piccola imbarcazione dal costo limitato può creare danni tanto gravi e addirittura affondare una grossa nave carica di uomini e armamenti, è evidente che questo impone drastici cambiamenti di paradigma alle dottrine di guerra in mare concepite fino a oggi: che senso ha armare e far salpare flotte dai budget miliardari, con decine di migliaia di uomini a bordo, se un incrociatore diventa vulnerabile a un piccolo Usv?
Lo stesso sconvolgente salto tecnologico stanno imponendo i piccoli droni volanti, che in Ucraina da mesi vengono usati per monitorare dall’alto il campo di battaglia, ma anche per colpire trincee, carri armati, depositi di munizioni. Sono più lenti, è vero, ma hanno il vantaggio di essere quasi invisibili. Per questo, nel cinico laboratorio del conflitto, è stato subito sperimentata con successo un nuovo tipo di contraerea: strumenti elettronici che «sparano» onde elettromagnetiche in grado di spegnere i motori elettrici dei droni. I più efficaci, fin qui, sono stati gli SkySwiper prodotti in Lituania. Simili a grossi fucili, con tanto di grilletto e mirino, colpiscono fino a 3-5 chilometri di distanza. Il generale ucraino Oleksandr Syrskyi ha detto che «fanno miracoli». E non possono non venire in mente i primi fucili a retrocarica, gli Chassepot che l’esercito francese usò per la prima volta nel 1867, a Mentana, contro i garibaldini che puntavano verso Roma. Anche 150 anni fa ci furono generali, a Parigi, i quali dissero che gli Chassepot avevano «fatto miracoli». Potenza della tecnologia.