Il quasi centenario ex segretario di Stato avvisa il presidente Usa: il conflitto in Ucraina potrebbe finire come la Prima Guerra Mondiale e le armi hi-tech sono a un punto di non ritorno
Gli organi di stampa hanno evidenziato soprattutto i contenuti strettamente politici che riguardano la mutata opinione dell’ex segretario di Stato sull’adesione dell’Ucraina alla Nato (in passato la considerava sbagliata, ora la giudica inevitabile), la rinnovata proposta di un armistizio basato sul principio del ritorno delle forze armate russe e ucraine alle posizioni che occupavano prima del 24 febbraio (per i russi, la Crimea e parte dei governatorati di Donetsk e Lugansk), l’eventualità di referendum di autodeterminazione internazionalmente riconosciuti nei quali le popolazioni locali deciderebbero l’assegnazione all’uno o all’altro paese delle aree contestate, nel caso che non si raggiungesse un accordo consensuale fra le parti; l’importanza della definizione di un nuovo sistema di sicurezza nell’Europa centrale e orientale concordato a livello internazionale, della quale dovrebbe essere partecipe anche la Russia, che non deve essere smembrata o ridotta all’impotenza strategica, perché ciò creerebbe un vuoto di potere che renderebbe instabile un’immensa area a cavallo fra l’Europa e l’Asia, dove sono disseminate migliaia di armi nucleari.
Il ruolo della Russia
Anche quest’ultimo punto delle argomentazioni del quasi centenario (a maggio dell’anno prossimo) ex statista americano è noto sin dai giorni delle proteste di Euromaidan, della guerra civile nel Donbass e dell’occupazione russa della Crimea nel 2014. Alle consuete raccomandazioni Kissinger aggiunge la sottolineatura della profondità storica del ruolo russo: «Nonostante tutta la sua propensione alla violenza, la Russia ha dato un contributo decisivo all’equilibrio globale e all’equilibrio di potere per oltre mezzo millennio. Il suo ruolo storico non dovrebbe essere degradato».
Il parallelo col 1916
In apertura dell’articolo, l’ex Consigliere per la sicurezza nazionale di Richard Nixon e di Gerald Ford evoca un parallelo fra la situazione in cui si trova l’Europa dopo dieci mesi di guerra di aggressione russa all’Ucraina e quella in cui si trovava nell’estate del 1916, dopo due anni di guerra che avevano già causato milioni di morti.
Tedeschi da una parte, francesi e inglesi dall’altra, scrive, avevano capito l’errore di essersi gettati a capofitto in una guerra che non prevedevano così cruenta, e cercavano una via d’uscita che non avesse il sapore di una sconfitta della propria parte. Quando avevano iniziato i combattimenti non avevano nessuna idea dell’immenso potenziale distruttivo che, grazie ai progressi tecnologici, le loro rispettive armi avevano acquisito. L’uomo giusto per avviare il negoziato era il presidente americano Thomas Woodrow Wilson, ma era troppo impegnato nella campagna per la sua rielezione alla presidenza, e quando si fu liberato delle sue incombenze era troppo tardi: altri milioni di morti avevano aggravato il bilancio bellico, e la strada per i negoziati si era chiusa.
Wilson e la Grande Guerra
Le guerra proseguì altri due anni, e l’Europa ne uscì a pezzi, avviata sulla strada di un altro conflitto che l’avrebbe definitivamente ridimensionata.
Così Kissinger sintetizza: «Esse (le potenze europee in guerra – ndt) cercarono la mediazione americana. I tentativi esplorativi del colonnello Edward House, emissario personale del presidente Woodrow Wilson, rivelarono che una pace basata sullo status quo ante che era stato modificato era a portata di mano. Tuttavia Wilson, pur disposto e alla fine desideroso di intraprendere una mediazione, la rimandò fino a dopo le elezioni presidenziali di novembre. A quel punto l’offensiva britannica della Somme e l’offensiva tedesca di Verdun avevano aggiunto altri due milioni di vittime. (…) La Grande Guerra andò avanti per altri due anni e fece ancora milioni di vittime, danneggiando irrimediabilmente l’equilibrio consolidato dell’Europa. La Germania e la Russia furono lacerate da rivoluzioni; lo stato austro-ungarico scomparve dalla carta geografica. La Francia ne uscì dissanguata. La Gran Bretagna aveva sacrificato una parte significativa della sua giovane generazione e delle sue capacità economiche alle esigenze della vittoria. Il trattato punitivo di Versailles che pose fine alla guerra si dimostrò molto più fragile della struttura che sostituì».
Un messaggio a Biden
La narrazione che Kissinger fa degli eventi è curiosa, perché contraddice la vulgata storica corrente secondo la quale Wilson si offrì a fare da mediatore, ma le potenze europee respinsero i suoi buoni uffici.
Più che all’accuratezza della ricostruzione storica, l’ex segretario di Stato sembra interessato a inviare un messaggio non troppo criptato al presidente Biden e alla Nato: se non cogliamo adesso l’occasione per arrivare a un armistizio, rischiamo un prolungamento della guerra ancora più sanguinoso e un esito ancora più dannoso per gli equilibri mondiali e per gli interessi a lungo termine degli Usa e dell’Occidente.
Computer strateghi
Suggestiva e inquietante è anche la parte conclusiva dell’articolo, nella quale il 99enne Kissinger esprime tutta la sua preoccupazione per la corrente tecnologizzazione della guerra, che sta strappando di mano le cruciali decisioni belliche agli esseri umani per consegnarle ai computer, attraverso l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale.
L’ex segretario di Stato propone di indire un negoziato fra tutte le parti anche su questa delicata materia. «Mentre si sforzano di porre fine alla guerra in cui due potenze nucleari si contendono un paese dotato solo di armi convenzionali, i leader mondiali dovrebbero riflettere anche sull’impatto su questo conflitto e sulla strategia a lungo termine dell’incipiente alta tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale. Esistono già armi autonome, in grado di definire, valutare e inquadrare le minacce che di propria iniziativa percepiscono, e quindi in grado di dare inizio a una guerra. Una volta superato il punto di non ritorno, l’hi-tech diventerà la forma di armamento standard, e i computer diventeranno i principali esecutori della strategia; a quel punto il mondo si troverà in una condizione per la quale non ha ancora elaborato concetti adeguati. In che modo i leader possono esercitare il controllo quando i computer prescrivono istruzioni strategiche su una scala e in un modo che limitano e minacciano intrinsecamente l’input umano? Come si può preservare la civiltà in un tale vortice di informazioni contrastanti, percezioni e capacità distruttive? Non esiste ancora alcuna teoria per questo mondo che ci sta invadendo e gli sforzi per consultazioni su questo argomento devono ancora svilupparsi, forse perché negoziazioni significative potrebbero rivelare nuove scoperte e quella divulgazione stessa costituisce un rischio per il futuro. Superare la disgiunzione tra tecnologia avanzata e i concetti necessari per produrre strategie per controllarla, o anche comprenderne tutte le implicazioni, è una questione importante oggi tanto quanto il cambiamento climatico e richiede leader con una padronanza sia della tecnologia che della storia».
Un uomo che non ha più molto futuro davanti a sé sembra preoccuparsi seriamente per pericolose dinamiche già in atto che quelli che pensano di avere davanti a sé tanto futuro trascurano quasi completamente.