Unabomber, alle origini del “lupo solitario”: così Ted Kaczynski terrorizzò gli Usa
Unabomber, alle origini del «lupo solitario»: così Ted Kaczynski terrorizzò gli Usa
Ted Kaczynski ha anticipato i tempi. Il cittadino solitario in guerra contro la parte di «società» che detesta. Un terrorista individuale simile a quelli che colpiscono oggi. Il vero lupo solitario, capace di vivere lontano da tutto e da tutti in una foresta dell’Ovest americano, rifugio e al tempo stesso «base» per la sua campagna distruttrice.
Unabomber, questo il suo «soprannome», se ne è andato per sempre sabato, all’età di 81 anni. Lo hanno trovato morto nella prigione di Butner, Nord Carolina. Pare si sia suicidato. È spirato da solo come da solo ha vissuto per buona parte della sua esistenza dedicata ad una battaglia personale tornata attuale in questi tempi difficili.
Originario di Chicago, figlio di un imprenditore, Ted è sempre stato diverso dagli altri. Quoziente di intelligenza altissimo, costretto dai suoi a passare ore a leggere libri, senza amici, carattere riservato ha scelto un suo sentiero personale. Bravissimo al liceo al punto da saltare due anni, a 16 anni entra ad Harvard, si laurea in matematica, diventa assistente universitario a Berkeley, California. Eccelle ma gli altri «non lo vedono», perché si estranea, non ha rapporti sociali. Qualcuno, in seguito, sosterrà che forse era già pronto a compiere gesti di violenza quando aveva neppure trent’anni. Il fatto è che il professor Kaczynski esce dal mondo e dalla prestigiosa università nel 1969, con una decisione in apparenza improvvisa. Si immerge, aumenta il suo distacco, acquista un piccolo pezzo di terra in una zona boscosa di Lincoln, Montana, e qui costruisce nel 1971 una casupola in legno fatta di una sola stanza. È come un pioniere. Niente acqua e luce, niente di niente, solo molti libri, la Natura e la selvaggina necessaria per nutrirsi. Una scelta coerente con quello che inizierà a fare più avanti. Una mossa che lo trasformerà in un super ricercato.
Nella quiete del capanno Ted fabbrica ordigni rudimentali, bene attento a non lasciare tracce sulle componenti. Sono le armi della sua sfida. Per 17 anni invierà plichi bomba in giro per gli Stati Uniti, ucciderà tre persone e ne ferirà 23. Prenderà di mira colleghi, responsabili di compagnie aeree, imprenditori, scienziati. Il primo attacco è nel luglio del 1978, resta coinvolta una guardia mentre nel novembre del 1979 una delle sue trappole esplode a bordo di un jet dell’American Airlines, attentato che solo per un soffio non si trasforma in tragedia. Il suo schema è glaciale, perfetto. Mette insieme i pezzi nella sua «tana», prepara il pacchetto, inforca la bici per raggiungere il più vicino ufficio postale dove avvia la spedizione. Poi aspetta il risultato. In un’occasione, nel febbraio 1978, cambia modus operandi: lascia la bomba davanti ad un negozio di computer a Salt Lake City. I testimoni forniranno un identikit scarno di una persona con occhiali e cappuccio, l’unico indizio insieme ad una «firma», FC.
L’Fbi reagisce creando una sua task force con 150 funzionari, offre una taglia da un milione di dollari, cerca in ogni direzione, immagina scenari diversi, anche perché sono diversi i bersagli. È un minuscolo ago nel pagliaio, non ha troppi elementi e il territorio di caccia è immenso. Ma come spesso accade è l’assassino a compiere l’errore. Nel settembre del 1995 Ted invia il suo «manifesto» al Washington Post e al New York Times, un elaborato dove spiega con chiarezza il movente e propone un baratto: pubblicatelo e io smetterò di colpire le persone. Per Kaczynsky la minaccia è rappresentata da uno sviluppo che imprigiona l’uomo e priva l’individuo d’ogni controllo, da attacchi sistematici all’ambiente, da una tecnologia che ti rende dipendente, dalle decisioni di altri. Siamo pedine, non più padroni delle nostre scelte. Un messaggio dove confluiscono anarchia, ecologia, buoni principi e frustrazioni personali.
Il documento è potente, i direttori dei quotidiani decidono di stamparlo dopo un lungo consulto con i federali. La svolta si avvicina. È David, il fratello di Kaczynski, a scovare similitudini tra il linguaggio usato nel manifesto e i pensieri espressi tante volte da Ted, quando ancora si frequentavano. O meglio è sua moglie a fargli notare i punti di contatto. E così avvisa gli inquirenti fornendo loro una pista da esplorare, promettente e piena di spunti. La storia si chiude il 3 aprile del 1996. Dopo lunghe perlustrazioni, osservazioni da lontano con l’aiuto dei ranger, gli agenti passano all’azione e arrestano Unabomber. Sarà condannato a numerosi ergastoli, lo rinchiuderanno a Super Max, il carcere di massima sicurezza del Colorado, dove i detenuti sono in stato di isolamento. Nelle celle spie, i peggiori terroristi, El Chapo Guzman. Vi resterà fino a due anni fa quando verrà trasferito in Nord Carolina. Nel frattempo è diventato fonte di ispirazione – lo hanno ribattezzato Uncle Ted, lo zio Ted-, materia di studio, rivisto e quasi «rivalutato». Scritti, lettere, corrispondenza – sottolinea il New York Times – sono state inviate da Unabomber ad un archivio dedicato al radicalismo dell’Università del Michigan. L’eredità dell’uomo invisibile.
Guido Olimpo