“L’AI farà disastri nella misura in cui le permetteremo di invadere le nostre vite. Il che sarà fatto con abnegazione giapponese. Esattamente come col vaccino, con l’invio di armi in Ucraina, con la farina di grillo, con qualsiasi scemenza venga in mente a quelli del piano di sopra”
Quelle poche volte che qualcuno ha apprezzato la mia intelligenza, me la sono cavata rispondendo di non essere affatto intelligente: la mamma mi aveva insegnato che lo ero.
Similmente, quando qualcuno esprime ammirazione per il fatto che ho letto libri – le persone ammirano volentieri negli altri ciò che loro non fanno o disprezzano – rispondo che il punto non è leggere – oggi la gente legge moltissimo, molto più che in passato – ma cosa si legge. Un conto è leggere Aristotele, un altro Chiara Ferragni nel paese delle borse.
Ma forse intelligente e colto lo sono davvero, quanto meno nell’afrore di una media strepitosamente bassa. Lo sono abbastanza da interrogarmi su cosa siano l’intelligenza e la cultura, concetti fumosissimi oggetto di adorazione sociale tutta virtuale, ergo largamente sopravvalutati.
Dovrebbe essere chiaro a tutti, almeno per la mia percezione delle cose, che l’intelligenza non esiste. Non nego che sia un’idea carina, ma è come le migliori barzellette: ridi a crepapelle, pensi di ricordartela ma mezz’ora dopo è svanita nel baratro del subconscio. Persone molto, molto intelligenti fanno cose molto molto stupide. Raggiungono anzi livelli di stupidità ben più raffinati e profondi della stupidità rozza e popolana tipica dei fessi, che sono la schiacciante maggioranza degli homo sapiens-sapiens.
L’uomo non capisce una frolla. L’uomo moderno non capisce nemmeno di non capire. In effetti, come si conviene alla sua indole deficiente, si industria per fabbricarsi ciò che più gli manca: la ruota, un focolare, un tetto sulla testa, una zappa, su su per arrivare all’intelligenza artificiale. La prova regina dell’idiozia dilagante, della mancanza totale e assoluta di intelligenza e vera conoscenza.
Intendiamoci: l’AI (suono che esprime dolore in molte culture) funzionerà alla grande, ma funzionerà molto male, e lo farà soltanto perché la gente è abbastanza idiota da credere di essere più idiota di un software. Esattamente come mia madre mi diceva che ero un bambino intelligente, e ho finito per crederlo e darlo a credere.
Un ominide che possieda davvero un briciolo di questo bene raro come uno stambecco nella savana, non ci casca. Come scrive Karol Wojtyla nella sua piéce giovanile Fratello del nostro Dio, “rido perché mi sono liberato dalla tirannia dell’intelligenza”.
Al contrario, un mondo di deficienti corre dietro al simulacro di qualcosa che essi non hanno mai avuto, e perciò non conoscono. Se raccontassero loro che l’intelligenza è un carciofino sottolio, lo crederebbero senza batter ciglio.
Correttamente dovrebbero chiamarla intelligenza simulata, e poi spiegare come sia possibile che un manufatto umano sia più “qualcosa” di chi lo ha prodotto. Ma siccome non sono leali con se stessi e con gli altri, tutte queste e altre cose passano allegramente in cavalleria.
È ovvio che all’interno del mondo-macchina popolato da uomini-risorse (o gear-men) l’AI possa fungere da mastro puparo. Ma siamo appunto all’interno di una realtà simulata: a suo tempo fallì Second Life, come sta fallendo il Metaverso. In questi casi è lecito bruciare miliardi sull’altare del progresso, mentre se fai il panettiere e hai un euro di debito ti fanno chiudere (esagero, ma nemmeno troppo).
Qualcuno poi dovrà anche spiegare come si alimenterà – con quale energia, da quali fonti – una copia digitale del mondo reale, che per fare operazioni che l’uomo compie grazie ad una zolletta di zucchero brucerà miliardi di terawattora. Anche qui, chissenefrega. Sono quisquilie.
L’AI farà disastri nella misura in cui le permetteremo di invadere le nostre vite. Il che sarà fatto con abnegazione giapponese. Esattamente come col vaccino, con l’invio di armi in Ucraina, con la farina di grillo, con qualsiasi scemenza venga in mente a quelli del piano di sopra.
L’AI è poi totalmente priva di intuizione. Secondo l’Oxford Languages, l’intuizione è “conoscenza diretta e immediata di una verità”. Quid est Veritas?, chiede Ponzio Pilato a Cristo che non risponde, e Sant’Agostino secoli dopo si prende la briga di farlo con un anagramma: Vir qui Adest. Uno sconosciuto, Dio, che ti viene incontro in forma umana. Di questa rivelazione, di questa Apocalisse che accade nella vita di ognuno, a cominciare dal neonato che riconosce la madre scatenando il fenomeno della conoscenza, nell’AI non c’è alcuna traccia.
Non solo. A prescindere dal fatto che l’AI produca “nuove conoscenze” – quella paccottiglia ottusa che insieme alle “competenze” si travasa nel cervello di legioni di malcapitati – esse saranno sempre e comunque prive di esperienza. L’AI spiegherà come fare un’insalata Cesare senza averne mai gustata una.
D’altra parte, veniamo da un’epoca in cui uno scienziato turco, il proprietario di BionTech, ha dichiarato di aver progettato il vaccino in due ore al computer. Come nel dicembre 2020 riportava AgendaDigitale, il contributo dell’AI alla ricerca del pomposamente battezzato “vaccino anti-Covid” è stato “vitale”. A giudicare dai brillanti risultati, si stava meglio quando si stava peggio, cioè quando la stupidità naturale suggeriva agli uomini il dubbio e la prudenza. Passi perdere la fede in un Creatore (postulo per assurdo), ma coltivare quella negli uomini, o nei simulacri umanoidi, è il trionfo della stupidità che fatalmente le moltitudini osannano come Moloch.
Ma no: l’AI è il nuovo cambiamento, la nuova rivoluzione. E pazienza se quelle con cui ci hanno tormentato negli ultimi trent’anni – dall’austerità che fa crescere all’inclusione, dalla guerra pacificatrice al vaccino solidale, dal “cameriere, c’è una mosca nella mia minestra” alla minestra di mosche – hanno clamorosamente fallito. Non importa, perché gli imbecilli credono che questa sia civiltà, intelligenza e progresso, e tanto basta (a loro).
Vale ricordare un sano principio di libertà: una cosa funziona nella misura in cui la adotto e la accetto. È chiaro che in un mondo che intende la libertà come soddisfazione di voglie indotte dall’esterno e come conformismo, le probabilità di successo e dei conseguenti disastri sono elevatissime. Se invece la libertà rimane quella forma di ribellione innanzitutto a sé stessi e alla propria convenienza, al pensiero prevalente, l’affermazione del principio etsi omnes, ego non (se anche tutti, io no), l’AI finirà nella raccolta differenziata della storia. O finirà per essere un ausilio come un altro.
Troppe volte abbiamo sentito “questo cambia tutto”, “nulla sarà più come prima”, e tutto si è tradotto e concluso in un gigantesco rutto tonante.
Mattia Spanò