La pista della fuga dal laboratorio del virus Covid-19 non ha mai perso slancio sin dall’inizio della pandemia e trova adesso nuovi riscontri in una lunga e dettagliata inchiesta pubblicata a inizio giugno sul Sunday Times. Esperimenti scientifici non dichiarati, manipolazioni di virus, lo spettro degli studi su una possibile arma batteriologica da parte dell’Esercito di liberazione popolare cinese, persino la misteriosa morte di uno scienziato, un decesso che, secondo alcune testimonianze, sarebbe avvenuto all’Istituto di virologia di Wuhan. Questi sono i nuovi tasselli che aprono la strada all’ipotesi che il virus letale, fuoriuscito accidentalmente dal laboratorio di Wuhan, sia stato creato dai suoi stessi scienziati sotto la supervisione dell’esercito di Pechino.
In una storia che ha pochi punti certi, tutto sembra avere inizio nel novembre 2002 nella provincia cinese del Guangdong quando il virus Sars della famiglia dei coronavirus comincia la sua marcia che lo porterà a raggiungere 29 nazioni infettando ‘inizialmente ottomila persone e uccidendone 774. Per il mondo si tratta di un test generale di una pandemia che, meno di 20 anni dopo, fermerà il mondo. È l’istituto di virologia di Wuhan e la sua scienziata più famosa, Shi Zhengli, a guidare la ricerca delle origini del virus organizzando spedizioni nelle grotte rifugio di pipistrelli, incubatori naturali di virus, e per le quasi si guadagnerà il soprannome di Batwoman. È in questo periodo che comincia la collaborazione del team cinese con Peter Daszak, esperto inglese di pipistrelli, elemento di spicco del Wildlife Trust, un’associazione non-profit che studia il processo di salto dei virus dagli animali all’uomo. Il laboratorio di Wuhan si mette a disposizione dell’organizzazione che nel 2009 riceve anche finanziamenti per 18 milioni di dollari in cinque anni da un nuovo progetto, Predict, allo scopo di identificare i virus pandemici. Subito dopo il Wildlife Trust cambia nome in EcoHealth Alliance e Daszak ne diventa il presidente. A sancire l’importanza della collaborazione sino-americana, un milione di dollari del fondo Predict viene destinato al laboratorio di Wuhan.
Nel frattempo, nel 2012 nella grotta di Shitou nella provincia dello Yunnan, nel sud della Cina, il team di esperti di Shi scopre un virus imparentato con quello della Sars e lo denomina WIV1 dimostrando con test in laboratorio la sua capacità di infettare cellule umane. Lo stesso tipo di risultato non viene raggiunto con un secondo virus del tipo Sars, anch’esso recuperato nella caverna, e denominato SHC014. A questo punto Shi contatta il virologo Ralph Baric dell’Università della North Carolina, famoso per impiegare una tecnica di “mescolamento” dei geni di differenti patogeni per poi studiare gli effetti di questi virus mutanti su topi “umanizzati” dotati di polmoni simili a quelli umani.
Nonostante il tentativo dell’amministrazione Obama di stoppare gli esperimenti condotti seguendo la “gain-of-function“, la controversa e pericolosa tecnica adoperata dal virologo Baric, la collaborazione tra Wuhan e l’università della North Carolina continua senza troppi intoppi. Lo stesso Istituto di Wuhan, usando le tecniche di Baric, crea due nuovi virus mutanti adoperando il patogeno WIV1 scoperto nella grotta di Shitou. In un report del 2016 presentato ai finanziatori del governo americano, Daszak menziona questi esperimenti e svela che l’Istituto cinese intendeva combinare il virus Mers, che aveva ucciso il 35% delle persone infettate durante un’epidemia in Arabia Saudita nel 2012, con i virus delle grotte.
A questo punto il laboratorio di Wuhan compie un ulteriore salto nella pericolosità dei test. Gli scienziati selezionano infatti tre virus mutanti creati unendo virus di tipo Sars con il WIV1 e li sperimentano su topi con polmoni umani. I cinesi riescono così a creare un super coronavirus con una capacità letale che probabilmente non sarebbe mai emersa in natura e per il quale nessun vaccino per la Sars sarebbe stato efficace. Il 75% dei roditori esposti al patogeno muore. Secondo il Sunday Times, il nuovo virus mutante non era il Covid-19 ma avrebbe potuto essere anche più letale se fosse fuoriuscito dal laboratorio. I risultati degli esperimenti non vengono riportati in nessuna pubblicazione scientifica. Solo dopo lo scoppio della pandemia, Daszak fornirà i dettagli alle autorità americane sulla letalità reale degli esperimenti.
Anche sulla base di informazioni ricavate da intercettazioni, gli investigatori del Dipartimento di Stato americani citati nell’articolo del Sunday Times ritengono che l’Istituto di Wuhan abbia condotto poi un progetto del tutto segreto nascondendolo probabilmente anche a Daszak. Le origini di questo programma risalirebbero ad un incidente che attira l’attenzione delle forze militari cinesi. Nel 2012 sei persone incaricate di bonificare una miniera di rame abbandonata nella regione del Mojiang, nel sud della Cina, si ammalano misteriosamente presentando tra i sintomi febbre, tosse e polmonite. Tre di loro muoiono. I risultati delle analisi stabiliscono che lo sfortunato gruppo di operai era positivo agli anticorpi di un coronavirus sconosciuto. Con tutta probabilità, fatale è stato l’entrare in contatto con il guano di pipistrelli, i quali avevano stabilito una colonia nella miniera. I ricercatori dell’Istituto di Wuhan impiegano quattro anni ad analizzare la miniera raccogliendo 1300 campioni e scoprendo 293 coronavirus. In un report scientifico pubblicato da Shi nel 2016, le morti dei minatori non vengono menzionate ma si parla della scoperta nella miniera di un tipo di coronavirus della famiglia della Sars mai visto prima e denominato RaBtCoV/4991. Non viene menzionato che in realtà sono nove in tutto i virus scoperti dello stesso ceppo in quella località.
Dopo la pandemia, il virus 4991, a cui viene cambiato il nome in RaTG13, viene identificato come il virus più vicino al Covid-19. Il Sunday Times è riuscito ad avere conferma attraverso tre membri del team investigativo che gli esperimenti condotti sui virus di Shitou sono stati condotti anche sul virus RaTG13 e su altri virus scoperti nella miniera. Secondo una delle fonti del giornale inglese, i cinesi hanno lavorato su nove varianti del Covid e una di queste era ancora più simile al Covid-19 del RaTG13. Gli esperimenti condotti avrebbero velocizzato il processo di mutazione naturale del virus nell’arco di settimane o mesi invece che di anni. Secondo Stephen Quay, uno scienziato americano sentito anche dal Dipartimento di Stato, il virus Covid-19 sarebbe stato creato proprio modificando un virus recuperato in miniera e poi iniettato più volte nei topi “umanizzati” in modo da renderlo sempre più aggressivo e mortale.
Secondo gli investigatori americani, una delle ragioni per cui non ci sarebbero informazioni pubbliche su questi ultimi studi sarebbe dovuta al fatto che gli esperimenti segreti sui virus della miniera condotti dall’istituto di Wuhan erano finanziati direttamente dall’esercito cinese. Tali esperimenti sarebbero cominciati già nel 2016. In un libro pubblicato nel 2015 dall’Accademia di Scienze Mediche Militari, la divisione dedita alle ricerche dell’Esercito di liberazione popolare cinese (Pla) che ha collaborato con il laboratorio di Wuhan, si legge che i virus di tipo Sars rappresentano ”una nuova era di armi genetiche”. Secondo gli investigatori, l’esercito cinese si sarebbe interessato alla produzione di un vaccino per i virus in modo da poterli usare come armi biologiche. Per la Cina la possibilità di inoculare nella propria popolazione un vaccino contro un virus segreto da loro stessi creato potrebbe garantire al Paese del dragone un’arma in grado di stravolgere gli equilibri geopolitici dell’intero pianeta.
Gli investigatori americani hanno analizzato anche delle intercettazioni secondo le quali nel novembre 2019 tre ricercatori dell’Istituto di Wuhan si sarebbero ammalati con sintomi da coronavirus, tempistiche che combacerebbero secondo molti esperti con l’inizio della pandemia. Uno dei parenti dei ricercatori sarebbe morto in seguito. Un investigatore si dice certo che il virus in questione fosse il Covid-19 anche perchè nel laboratorio di Wuhan, in quelle settimane stava accadendo qualcosa di molto preoccupante. Infatti il 19 novembre, il direttore della sicurezza dell’Accademia di Scienze cinesi visita l’Istituto riportando importanti istruzioni ricevute direttamente dal presidente cinese Xi Jinping a riguardo di una “complessa e grave situazione”.
Un altro mistero che riguarda il ruolo dei militari si aggiunge ad un quadro già pieno di interrogativi. Zhou Yusen, lo scienziato militare e specialista di vaccini per l’esercito cinese, è al lavoro con il team di Wuhan proprio al tempo dello scoppio della pandemia e i sospetti su di lui aumentano dopo la registrazione da parte sua di un vaccino per il Covid-19 nel febbraio 2020, poco più di un mese dopo che la Cina ammette ufficialmente l’esistenza dell’epidemia nel Paese. Zhou, nel maggio 2020, all’età di 54 anni, muore in circostanze misteriose. I mass media cinesi non riportano dettagli sulle cause del suo decesso ma alcuni testimoni avrebbero dichiarato agli investigatori americani che Zhou sarebbe caduto dal tetto dell’Istituto di Wuhan, una circostanza che non è però stata verificata.
Tanti sono ancora gli interrogativi aperti su cosa sia accaduto davvero nel laboratorio di Wuhan. Nel frattempo la miniera di Moijang è inaccessibile agli scienziati che vogliono compiere ricerche sulle origini della pandemia, i ricercatori stranieri hanno subito pesanti restrizioni e gli studi sui virus nelle colonie di pipistrelli nello Yunnan sono stati proibiti. Alla scienziata Shi, che lavora ancora al laboratorio di Wuhan, sarebbe stato proibito di parlare con i media e sarebbe sotto sorveglianza da parte dei servizi di sicurezza cinesi. Le nuove rivelazioni pubblicate dal quotidiano di Londra non scrivono ancora la storia definitiva di un virus che ha fatto registrare 768 milioni di casi confermati e quasi sette milioni di morti in tutto il mondo con danni sociali ed economici incalcolabili. Il Sunday Times, a corredo della sua inchiesta, ha pubblicato un duro editoriale che invita la Cina a fare chiarezza su quanto accaduto nel laboratorio di Wuhan accusando la Cina di aver scelto la strada della non cooperazione e dichiarando che si tratta di “una macchia sulla sua reputazione e tutti dovremmo esserne preoccupati”. Se è successo una volta può succedere ancora? Questo è il dubbio che attanaglia la comunità internazionale. La Cina è ancora molto lontana dal fornire le risposte che tutti stiamo aspettando. Non è dato sapere quanto sarà ancora lunga l’attesa.
Valerio Chiapparino