L’arcivescovo Georg Gänswein, congedato da Papa Francesco, lascia il ruolo di prefetto della Casa pontificia: il camion con le sue cose è partito dal Vaticano. La rottura con il pontefice dopo «l’incidente» della pubblicazione di un libro contro ogni apertura sul celibato sacerdotale con la prefazione di Benedetto XVI
«Taccio e obbedisco». Il trasloco è completato, un camion con le sue cose è in partenza verso Friburgo, l’arcivescovo Georg Gänswein si è congedato nei giorni scorsi dai suoi collaboratori, ha lasciato il monastero Mater Ecclesiae dove ha vissuto con Benedetto XVI dal 2013 e anche l’appartamento nella vecchia Santa Marta, di fronte all’albergo vaticano dove vive Francesco, che aveva già ristrutturato prima che sapesse di dover andar via.
Non è il momento di parlare, «dovevo lasciare il Vaticano entro il primo luglio e l’ho fatto, tutto qui: obbedisco», spiega asciutto.
Intanto si è messo in viaggio, oggi ha in programma di celebrare un’ordinazione sacerdotale sul lago di Costanza, a Bregenz, in Austria, vicino al confine con la Germania, a poco meno di duecento chilometri dalla sua destinazione. «Arriverò a Friburgo all’inizio della prossima settimana».
Quasi un posto delle fragole, «sì, il Collegium Borromaeum è lo stesso dove vivevo quando entrai in seminario». Nel seminario diocesano accanto alla cattedrale di Friburgo gli è stato preparato un appartamento di 150 metri quadrati. «In data 28 febbraio 2023, monsignor Georg Gänswein ha concluso l’incarico di Prefetto della Casa Pontificia. Il Santo Padre ha disposto che dal 1° luglio rientri, per il momento, nella sua Diocesi di origine», aveva fatto sapere la Santa Sede.
Nessun incarico. Sebbene il fatto che si dica «per il momento» attenui un po’ la durezza del provvedimento e faccia pensare che in futuro potrebbero essergli assegnati nuovi incarichi.
Gänswein, del resto, è un arcivescovo di 66 anni ed è ben lontano dall’età della pensione, fissata per i vescovi a 75.
Il congedo in Vaticano è stato malinconico, chi gli è vicino lo descrive molto amareggiato. Ha lasciato Roma dopo 28 anni: arrivò in Vaticano nel 1995, un anno prima che Ratzinger lo chiamasse all’ex Sant’Uffizio e lo scegliesse poi come segretario personale. Era stato Benedetto XVI a nominarlo Prefetto della Casa pontificia il 7 dicembre 2012, tre mesi prima di dimettersi. Francesco lo aveva mantenuto in carica, quasi un «ponte» tra il nuovo pontefice e il predecessore. Ma poi le cose si sono complicate.
Di fatto, Gänswein non era più prefetto da tre anni, lui stesso si era definito un «prefetto dimezzato».
All’inizio del 2020 era uscito in Francia un libro del cardinale Robert Sarah contro ogni apertura sul celibato sacerdotale, a doppia firma con Benedetto, poco prima della risposta attesa di Francesco (che peraltro non arrivò) alla richiesta del Sinodo amazzonico di poter ordinare preti dei diaconi sposati, per compensare la mancanza di clero. Messa così, sembrava una interferenza dell’emerito sul Papa, cosa che Ratzinger era sempre stato attento a non fare. Gänswein disse d’aver chiesto di «togliere il nome di Benedetto come coautore» parlando di «malinteso», Sarah ribattè che erano d’accordo .
Fu l’ultimo di una serie di «incidenti» che negli anni precedenti avevano visto l’ala più tradizionalista della Chiesa usare prefazioni o pubblicazioni di Benedetto in opposizione al successore. Così Francesco congedò l’arcivescovo, «lei rimane prefetto ma da domani non torna al lavoro», ha riferito Gänswein nel suo ultimo libro, «Nient’altro che la verità», pubblicato all’indomani dei funerali di Benedetto. Anche quel libro era servito, nel mondo tradizionalista, come tentativo post mortem di usare Benedetto XVI contro Francesco. Anche nell’anima più conservatrice della Curia, del resto, si notava un certo disagio per i tempi della pubblicazione.
Gänswein ha sempre negato di aver voluto creare divisioni, «è un pregiudizio che non accetto, ci sono correnti che non vogliono proprio amarmi». Pur senza accennare al libro o al suo autore, il Papa era stato durissimo a proposito delle «storie cinesi», ovvero delle menzogne seguite alla morte del predecessore, fino a dire ai giornalisti: «Credo che la morte di Benedetto sia stata strumentalizzata da gente che vuole portare acqua al proprio mulino. E la gente che, in un modo o in un altro, strumentalizza una persona così brava, così di Dio, quasi direi un santo padre della Chiesa, quella gente non ha etica, è gente di partito, non di Chiesa».
L’ultima udienza con il Papa è stata il 19 maggio: fin da allora era trapelato che Francesco intendesse rimandarlo in patria.