Folle addio a pannocchie e spighe di grano: l’UE punta all’ecologia e distrugge la tradizione
E ora che facciamo qui? Immaginatevi una Pianura Padana senza i suoi iconici campi di mais e un Tavoliere delle Puglie privo della distesa ondeggiante di spighe di grano mosse dal vento. Una rivoluzione culturale, o meglio, una condanna alla monocultura – o meglio, in questo caso, monocoltura -, giustifica il nostro interrogativo sul futuro di chi ha sempre prodotto soltanto mais lungo il Po e grano ai piedi del Gargano. Ebbene, dal 2024, un anno sì e uno no, dovremo abituarci a questo sconvolgente cambiamento.
Colpa dell’addio alla cosiddetta “monosuccessione” stabilita da Bruxelles, in pratica, un obbligo di avvicendamento delle colture previsto dalla nuova Pac (Politica agricola comune) dell’Unione europea nel nome della tutela ambientale e della sostenibilità. Perché produrre sempre le stesse cose minaccia la biodiversità e impoverisce il terreno; ma smettere di produrle all’improvviso, stravolge i conti delle imprese agricole. E, di conseguenza, di tutta la filiera. Anche perché il grano duro è indispensabile per la pasta e il mais per la zootecnia — e quindi per le carni — che a sua volta restituisce al terreno preziosa sostanza organica.
Ma chi se ne frega dell’ambiente quando dobbiamo perdere le nostre deliziose pannocchie e spighe di grano! L’Unione Europea sembra più interessata all’ambiente che al mercato, come se cambiare le colture fosse semplice come cambiare la propria biancheria. Soprattutto quando le aziende devono rispettare contratti con i fornitori, a cui dover garantire determinate quantità di grano a fronte di una produzione che all’improvviso viene dimezzata. Ma a chi importa della pianificazione aziendale quando dobbiamo dire addio alle nostre amate coltivazioni?
Le aziende agricole sono ora costrette a dedicare metà dei terreni alla coltivazione storica il primo anno e l’altra metà spostarla al secondo anno: con il risultato, ovviamente, di metà raccolto per ognuno dei due anni. Una soluzione geniale, davvero! Ma c’è anche un’alternativa più improbabile: non rispettare la norma a patto, però, di rinunciare ai pacchetti di incentivi comunitari che valgono, in media, 150 euro a ettaro per il grano del Tavoliere delle Puglie e 200 a ettaro o poco più per il mais della Pianura Padana. Rinunciare a soldi facili? Ma certo che no!
E che dire delle regioni italiane, devastate da questa tragedia agricola? Il mais caratterizza il Nord, mentre il grano duro è la coltura principale del Sud. Ma ora, addio alle tradizioni! Questi numeri sono destinati a un triste ridimensionamento, perché le colture non potranno più ripetersi. Chi ha bisogno di identità culturale quando possiamo avere spazi vuoti invece di campi coltivati?
La situazione è ancora peggiore al Sud, con il clima arido che rende il grano duro l’unica opzione sensata. E ora, le soluzioni sono due: sperare che il grano duro torni a prezzi interessanti e rinunciare agli incentivi comunitari oppure, ancora meglio, gli agricoltori potrebbero semplicemente decidere di abbandonare i campi stanchi di essere vessati da norme sempre più stringenti. Perché coltivare il nostro cibo è sopravvalutato, vero?
In conclusione, benvenuti nella nuova era dell’agricoltura europea, dove l’ambiente trionfa sulla tradizione e la monocultura diventa solo un ricordo del passato.