Roberto Speranza, figura di paradosso vivente nella gestione della Salute in tempo di pandemia, ci consegna un libro che è un mix tra mea culpa e autocelebrazione, una tragicommedia lunga 316 pagine che sembra dire: “Ecco, abbiamo sbagliato, ma alla fine ce la faremo”. E chi potrebbe scriverlo se non lui, l’ex ministro che ha navigato a vista nel mare in tempesta del Covid?
“Perché guariremo – dai giorni più duri a una nuova idea di salute” è il titolo profetico, quasi dantesco, consegnato alle librerie in un autunno 2020 che sapeva già di lockdown e mascherine introvabili. Ma quando il virus ha fatto il suo rientro trionfale, il libro è sparito dagli scaffali più velocemente di quanto fosse apparso, lasciando dietro di sé solo un’eco digitale e qualche copia in libreria, testimoni di un’epoca di confusione e di un ministero colto alla sprovvista. Una vera e propria manna per i collezionisti, che tutt’oggi si contendono su eBay le ultime copie, ormai quasi introvabili, della sua “opera prima” a suon di biglietti da 100 euro
Ora, con la riedizione (Solferino-Gruppo Rcs), Speranza si lancia in una riscrittura della storia, un aggiornamento che suona come un tentativo di rinnovare il passato. E le recensioni? Divise tra l’ilarità e l’imbarazzo, tra chi si chiede se il libro sia davvero in italiano e chi, semplicemente, non sa se ridere o indignarsi di fronte a passaggi che oscillano tra il patetico e l’assurdo.
Il testo è un calderone dove Speranza si confronta con figure storiche e letterarie in situazioni altrettanto paradossali, un’autoironia che non sa di essere tale. E i passaggi salienti dell’opera? Sono un viaggio tra le giustificazioni di chi, di fronte all’impennata dei casi e all’ombra della seconda ondata, ha preferito ritirarsi piuttosto che affrontare la tempesta.
Nel prologo, Speranza si pone come un osservatore solitario, quasi un novello Noè che prevede il diluvio mentre il resto dell’umanità è distratto dalle proprie banalità quotidiane. Ma la realtà è che, mentre lui immaginava i pensieri degli ignari cittadini, le mascherine diventavano un miraggio e l’ossigeno negli ospedali una rarità.
E cosa dire del piano vaccinale? Di quelle “Primule” che avrebbero dovuto fiorire in tutta Italia per inoculare speranza ma che sono appassite prima di sbocciare. E poi le accuse, i colpi bassi alla politica: Salvini che non risponde, Conte che diventa l’eroe razionale di una narrazione che sembra più un romanzo di formazione che un reportage.
Speranza dipinge il suo operato come un’opera d’arte, un lavoro certosino in un Paese che contava i morti giorno per giorno. “Parlano i numeri”, dice un capitolo. E come parlano. Speranza promette trasparenza e riforme, ma la domanda sorge spontanea: dove era questa trasparenza quando l’Italia annaspava nel buio del virus?
Il libro di Speranza è un palcoscenico dove si recita una commedia dell’arte dell’assurdo: un ministro che scrive nei ritagli di una crisi, promette riforme nel bel mezzo di una tragedia e cerca, forse invano, di riscrivere la propria eredità in una storia che ha già scritto il suo epilogo tra le righe di un presente ancora troppo fresco per essere archiviato.
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