Siamo testimoni di un cambiamento potenzialmente epocale nel panorama della libertà di espressione online. L’UNESCO, organizzazione di spicco delle Nazioni Unite, sta mettendo a punto un piano che avrebbe l’obiettivo di riscrivere le regole della comunicazione digitale. Questo progetto, denominato “Linee guida per la governance delle piattaforme digitali”, andrebbe a delineare un quadro complesso che assegna una serie di doveri, responsabilità e ruoli non solo agli Stati ma anche alle piattaforme digitali, alle organizzazioni intergovernative, alla società civile e ai media.
Il fine dichiarato è nobile: contrastare fenomeni preoccupanti come la disinformazione, la mala-informazione, i discorsi di odio e le teorie complottiste. Ma ne sottintende un’altro molto meno nobile, se si considera il potenziale impatto su una delle pietre angolari delle società libere: la libertà di parola. La proposta costituisce un assalto mascherato a questo diritto inalienabile, con un occhio di particolare sospetto verso coloro che si oppongono alle visioni dominanti su tematiche sensibili come il gender, l’aborto, le vaccinazioni, i valori familiari e il Cristianesimo. Desta poi particolare preoccupazione l’agenda delle Nazioni Unite su altre questioni, come la gestione globale della salute, secondo cui tali direttive possono diventare uno strumento per modulare l’accesso alle informazioni e la libera discussione.
Il pericolo è che sotto la guida di queste politiche si celino intenti assai meno trasparenti, come la possibilità di influenzare l’esito delle elezioni o di imporre una particolare agenda sanitaria o ideologica. Esempi recenti di persecuzione legale di individui in diverse nazioni per le loro opinioni su questioni di genere o per le loro convinzioni religiose accendono ulteriori allarmi sulla direzione che questa regolamentazione potrebbe prendere.
Questo nuovo programma di regolamentazione del discorso digitale si propone di identificare e limitare ciò che viene considerato “disinformazione” e “discorso d’odio”. Tuttavia, il criterio con cui queste etichette vengono assegnate è tutt’altro che limpido. La definizione di ciò che costituisce disinformazione o discorso d’odio è infatti così complessa e sfumata che si può prestare a una normalizzazione della censura di specifiche prospettive, in particolare quelle cristiane.
E’ necessaria un’azione decisa per preservare i diritti fondamentali di espressione e per resistere a qualsiasi tentativo di censura globale che possa limitarli. L’UNESCO ha l’ambizione di lavorare con governi e aziende in tutto il mondo per implementare un regime di censura che tanto assomiglia a una “Polizia del pensiero” globale.
Le nuove direttive sembrano, dunque, entrare in potenziale contrasto con principi costituzionali di paesi come l’Italia, che proteggono fermamente la libertà di parola e di stampa. Di fronte a documenti internazionali sui “diritti umani” che potrebbero essere utilizzati per limitare il discorso, vanno valutate con attenzione le proposte e di ponderare il loro impatto sul diritto consuetudinario internazionale delle Nazioni Unite.
Sebbene la lotta contro la disinformazione e il discorso d’odio sia un obiettivo condivisibile, è cruciale che ogni azione intrapresa sia attentamente valutata e verificata per garantire che non diventi un mezzo per soffocare la pluralità di pensiero e la libertà individuale.