La Battaglia di Nikolaevka: ultimo atto eroico delle truppe italiane sul fronte orientale
La battaglia di Nikolaevka, combattuta il 26 gennaio 1943 nel contesto della Seconda Guerra Mondiale, rappresenta un capitolo cruciale e drammatico per le truppe italo-tedesche dell’Asse. Questo scontro si inserisce nel più ampio teatro del fronte orientale, dove le forze sovietiche, in una spinta aggressiva e determinata, causarono il caotico ripiegamento dell’Asse, portando all’annientamento delle truppe italiane, fortemente provate da morti, feriti e prigionieri.
Nel corso dei mesi precedenti, l’avanzata sovietica aveva già manifestato la sua forza. Con l’operazione Urano, l’esercito sovietico aveva accerchiato la 6ª Armata tedesca a Stalingrado, in un movimento che aveva sconvolto le strategie dell’Asse. Analogamente, l’operazione Piccolo Saturno aveva sbaragliato le armate romene e gran parte dell’8ª Armata italiana. L’offensiva Ostrogožsk-Rossoš’, iniziata il 12 gennaio 1943, segnò un ulteriore peggioramento della situazione, con il crollo del fronte sul fiume Don e l’inizio di una disastrosa ritirata.
Gli scontri che precedettero la battaglia di Nikolaevka furono altrettanto tragiche. Le battaglie di Schelijakino e Warvàrowka videro il sacrificio quasi totale di reparti come l’artiglieria a cavallo (le Volòire), il battaglione alpini Morbegno, e altre unità, che giocarono un ruolo fondamentale nella distruzione dei mezzi corazzati russi.
Il contesto in cui si svolse la battaglia di Nikolaevka era estremamente difficile: il rigido inverno russo, le perdite subite e il morale basso affliggevano le truppe dell’Asse. I reparti italiani, tedeschi e ungheresi, si trovarono ad affrontare le unità dell’Armata Rossa, posizionate strategicamente nel villaggio di Nikolaevka per impedirne la fuga.
La mattina della battaglia, le truppe italiane in ritirata subirono un bombardamento da parte di quattro aerei sovietici. Fu la 2ª Divisione alpina “Tridentina”, una delle poche divisioni italiane ancora in grado di combattere, a ricevere l’incarico di iniziare l’assalto al villaggio. I battaglioni “Vestone”, “Verona”, “Valchiese” e “Tirano”, guidati dal maggiore Enrico Bracchi, affrontarono le forze sovietiche nonostante la situazione avversa.
La battaglia si intensificò verso sera, con l’arrivo del “Battaglione Edolo” a supporto. Le truppe della “Tridentina”, guidate dal generale Luigi Reverberi, riuscirono infine a forzare un passaggio attraverso le linee sovietiche, sfruttando l’unico carro armato tedesco rimasto operativo e la loro disperata volontà di sfuggire all’accerchiamento. La medaglia d’oro al valor militare conferita a Reverberi testimonia il valore e il coraggio dimostrato in quella circostanza.
Nonostante l’alto prezzo pagato in termini di perdite umane, le truppe dell’Asse riuscirono a raggiungere Šebekino il 31 gennaio 1943, sfuggendo alla morsa russa. Al momento dell’inizio della ritirata, il 16 gennaio 1943, il Corpo d’Armata Alpino contava 61.155 uomini. Dopo la battaglia, solamente 13.420 uomini riuscirono a uscire dalla sacca, oltre a 7.500 feriti o congelati. Circa 40.000 uomini rimasero indietro, tra morti, dispersi o catturati.
Migliaia di soldati italiani furono poi fatti prigionieri e raccolti in vari campi, tra cui quello di Rada, vicino a Tambov. Solo una piccola parte di questi prigionieri riuscì a fare ritorno in patria a partire dal 1945.