L’assassinio di Emilio Alessandrini: terrorismo e giustizia nella Milano degli anni ’70
Il 29 gennaio 1979, le strade di Milano furono teatro di un tragico evento che scosse le fondamenta della società italiana: l’omicidio del magistrato Emilio Alessandrini. Questo atto terroristico, compiuto da militanti dell’organizzazione comunista Prima Linea, non fu solo un attacco ad un singolo individuo, ma rappresentò un colpo mortale all’idea stessa di giustizia e legalità in un’epoca già turbolenta.
Emilio Alessandrini, nato a Penne il 30 agosto 1942, era una figura di spicco nel panorama giuridico italiano. Dopo aver conseguito la maturità classica a Pescara, si laureò in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Napoli Federico II. La sua carriera lo portò presto a Milano, dove divenne sostituto procuratore della Repubblica nel 1968, solo un anno dopo il suo ingresso in magistratura. Alessandrini si distinse per il suo impegno instancabile e la sua dedizione alla lotta contro il terrorismo, in un periodo storico segnato da profonde tensioni sociali e politiche.
Nel 1972, Alessandrini e Gerardo D’Ambrosio furono assegnati al processo sulla Strage di Piazza Fontana. Questo evento, uno dei più oscuri e controversi della storia italiana recente, vide imputati Pietro Valpreda e Mario Merlino, e il processo subì spostamenti da Roma a Milano e poi a Catanzaro, a causa di gravi problemi di ordine pubblico. Oltre a questo, Alessandrini si occupò di numerose indagini sul terrorismo, sia di destra che di sinistra, scoprendo anche attività di depistaggio da parte del Servizio Informazioni Difesa (SID), segno di una profonda crisi nelle istituzioni italiane.
Al momento del suo assassinio, Alessandrini stava lavorando alla creazione di un pool antiterrorismo per coordinare meglio il lavoro tra le diverse procure. Questa iniziativa, tuttavia, lo mise nel mirino dei terroristi. Già nel settembre 1978, durante un’irruzione nell’appartamento del terrorista Corrado Alunni, era stata rinvenuta una scheda dettagliata su Alessandrini, un chiaro indizio di un imminente attacco.
Il 29 gennaio 1979, dopo aver accompagnato a piedi suo figlio a scuola, Alessandrini fu brutalmente assassinato. Mentre si trovava fermo al semaforo tra Viale Umbria e Via Muratori, un incrocio che percorreva quotidianamente, un commando attaccò la sua automobile. Due terroristi infransero il vetro lato guidatore e spararono otto colpi nell’abitacolo, uccidendolo sul colpo. Altri due uomini rimasero in copertura a poca distanza, con un quinto complice che lanciò un fumogeno per coprire la fuga.
Nel 1980, il brigatista pentito Roberto Sandalo rivelò i nomi dei responsabili: il gruppo di fuoco era composto da Sergio Segio e Marco Donat-Cattin (figlio di Carlo Donat-Cattin, uno dei massimi esponenti della DC negli anni ’70), con Michele Viscardi e Umberto Mazzola in copertura e Bruno Russo Palombi come autista. Pochissime ore dopo l’attacco, Prima Linea rivendicò l’azione con una dichiarazione che enfatizzava il ruolo di Alessandrini nella magistratura e lo accusava di essere uno strumento del “comando capitalistico”.
L’omicidio di Alessandrini scatenò una vasta operazione di polizia, che coinvolse anche esponenti dell’estrema sinistra e intellettuali come Enzo Collotti e Francesco Leonetti. Fu solo nel maggio 1980, tuttavia, che l’arresto e il pentimento di Sandalo portarono a una serie di arresti all’interno delle file di Prima Linea.
Il processo si svolse a Torino nel 1983 e si concluse a dicembre con la condanna dei responsabili. Sergio Segio, considerato l’esecutore materiale dell’omicidio, fu condannato all’ergastolo, mentre Bruno Rossi Palombi ricevette una pena di 24 anni e sei mesi. Marco Donat-Cattin, riconosciuto come “dissociato”, fu condannato a otto anni e successivamente ottenne la libertà provvisoria. Vennero assegnate anche altre pene minori a membri dell’organizzazione che, come Donat Cattin, si erano in seguito distaccati dalla lotta armata.